Turislucca

Itinerari insoliti. La giustizia e le carceri a Lucca al tempo della repubblica oligarchica

Manca una pubblicazione specifica riguardo alla giustizia penale al tempo della repubblica lucchese.

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Tuttavia, secondo l’opinione di alcuni archivisti e storici contemporanei abituati spesso ad imbattersi in antiche carte dei giudizi penali nei documenti dell’Archivio di Stato di Lucca, la giustizia era per lo più rigida, non interpretativa, ferma nell’ applicazione delle leggi nei confronti dei semplici cittadini e soprattutto rapida. Rispetto ai nostri giorni dobbiamo considerare che i reati erano valutati in modo diverso. Reati penali per i quali oggi verrebbero applicate piccole sanzioni pecuniarie, che pur esistevano anche in quei tempi, venivano al contrario severamente repressi con punizioni corporali.

La punizione più frequente era il “tratto di corda”. Il punito veniva alzato da corde con una specie di paranco per aria con le mani legate e successivamente rilasciato di colpo più volte, provocando forti dolori alle giunture delle articolazioni per lo strattone ricevuto. Vi erano inoltre le mutilazioni e solo in alcuni casi di delitti efferati si poteva infliggere la pena di morte.

Esiteva un forte potere di intervento da parte dell’autorità. In alcuni casi poi, dove si fosse trattato di fatti politici o inerenti la sicurezza dello stato, esisteva la possibilità di avocare le cause in modo tale che gli organi legislativi le tratassero personalmente e separatamente dalla giustizia ordinaria . Fu questo ad esempio il caso di un capitano dei bombardieri che nel 1601 uccise, a causa di un improvviso scatto d’ira durante una festività con un colpo di spada, un suo sottoposto praticamente completamente ubriaco che aveva sparato con il cannone prima dell’ordine prestabilito. Ben tre avvocati criminalisti dettero parere che il capitano Scipione Vignarola da Capua “dovesse essere trascinato et appiccato per la gola in modo che muoia et alla confiscazione dei beni, conforme allo statuto, lib. 4° Cap. 71” Il consiglio Generale deliberò invece fosse….. esiliato. Questo in virtù del fatto che, più degli statuti e delle leggi, vigeva nella repubblica la massima che non si colpisse il principio di autorità che il capitano in questo caso rappresentava. Quindi il Capitano se ne partì tranquillamente da Lucca con in tasca una lettera di raccomandazione dove se ne lodavano persino le doti e le virtù militari.

Comunque, per quanto riguarda la pena della carcerazione, la repubblica lucchese non prevedeva alcuna spesa per il mantenimento dei detenuti nelle carceri locali. La sussistenza dei detenuti gravava sui detenuti stessi, suoi loro familiari o sulle confraternite di carità. Le carceri inoltre avevano anche la funzione di “ospitare”, non solo i condannati, ma purtroppo anche i dementi e le persone considerate tali. Dal 1513 fu istituito un nuovo uffizio denominato “I protettori delle carceri del sasso” con il compito di vigilare sulle condizioni dei carcerati affinchè non fossero inflitte inutili sofferenze o fossero perpretrate inaccettabili violazioni. Le donne avevano celle separate e le prostitute non erano accettate in questi luoghi.  La permanenza nelle carceri si limitava al massimo ad alcuni mesi. In caso contrario la soluzione al problema del sovraffollamento era data dalla repubblica genovese che, costantemente in cerca di braccia umane da mettere ai remi delle proprie galere, svuotava volentieri questi luoghi divenuti oltremodo malsani. Da documenti d’archivio conosciamo le continue richieste in questo senso inviate alla repubblica lucchese da parte del celebre ammiraglio Andrea Doria.

Le carceri si trovavano dapprima presso le celle interrate dell’antico anfiteatro di Lucca, da qui la denominazione “carceri del sasso”. Successivamente furono spostate, con la stessa denominazione, in edifici vicini alla chiesa di San Dalmazio, nel luogo dove si trova oggi l’odierno Istituto D’arte Passaglia.  Il vicino Palazzo pubblico, aveva anch’esso, dal 1600 in poi, delle proprie carceri poste nel sottotetto del palazzo. Vi si accedeva anche dalla torre di palazzo, luogo deputato al vigilanza e all’avvistamento, ma anche ai supplizi. Quest’ultima fu poi distrutta per far posto alla piazza Napoleone.

Pochi sanno che queste carceri esistono ancora, ed ancora mostrano il tetro fascino dei loro ambienti. Le stanze che ospitavano i carcerati, alcuni in attesa di giudizio, altri a scontare pene relativamente brevi, sono tutt’ora ricoperte da numerosi graffiti. Incredibilmente queste estemporanee manifestazioni murali, mostrano le doti artistiche di alcuni fra questi sventurati come ad esmpio un corteggio a cavallo. Altre incisioni, purtroppo, mostrano solamente le lamentele, i rancori e le tristezze espresse nei più variopinti dialetti toscani . Un esempio :  “A DI 5 FEBRAIO HO GUARDATO HOGI IL LUNARIO SE NO ERRO GLE’ UN MESE CHE IO MI TROVO IN STO PAESE STRANIERO PRIGIONIERO VOLONTARIO”. Un vero affascinante itinerario nascosto ma ancora, haimè, vibrante di sofferenze intensamente vissute. E le carceri dei nostri contemporanei ? Troveremo un giorno all’interno di questi antichi, inadeguati e fatiscenti luoghi di pene odierne, gli stessi graffiti latori di inascoltate sofferenze ?

 Gabriele Calabrese

 

 

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