Di aneddoti più o meno divertenti o interessanti una guida turistica ne ha molti da tirare fuori a richiesta dal suo cilindro magico.
Anche io ne potrei raccontare molte di storie divertenti, tristi, piccanti, grottesche e chi più ne ha più ne metta. Tuttavia, al momento mi voglio ancora limitare a quelle esperienze che mi hanno poi condotto a scoprire storie e fatti della mia città.
Sappiate dunque che sino a non molti anni fa era estremamente raro incontrare per le strade, le piazze e sulle Mura di Lucca un figlio del Sol Levante, un giapponese voglio dire. Pisa, Firenze, solo per citare la Toscana, al contrario hanno sempre visto brulicare gruppi e individuali giapponesi trotterellare di corsa, in movimento rapido, da un luogo ad un altro.
Fu quindi con molta sorpresa che circa venti anni fa, ma forse anche di più, la Turislucca, il consorzio di guide turistiche con il quale lavoro, mi incaricò di guidare un gruppetto di studenti universitari giapponesi in visita a Lucca. Ricordo ancora molto bene quando, incontrato il gruppo e il loro professore, un vecchietto serio che sicuramente sfiorava la novantina d’anni, questi si presentò come docente di architettura. A quel punto, non avendo ricevuto un programma, chiesi loro cosa desiderassero visitare: “Chiese? Palazzi? Le Mura di Lucca?”. La risposta del professore fu molto precisa: “No, nessuna chiesa e niente di ciò che mi propone. Poiché sono un professore che studia architettura di giardini, vorrei mostrare ai miei studenti per primo il giardino dove si trova la birreria, e poi il giardino dove si trova il circolo Ufficiali dell’Esercito. “Su Lucca, anche se ero giovane, credetemi, ne sapevo di cose, ma quei luoghi di cui lui mi chiedeva l’ubicazione mi risultavano del tutto sconosciuti. Fu solo dopo quello che mi mostrò il vegliardo professore che mi resi conto che forse ero… troppo giovane. La mia memoria, infatti, si fermava sui libri e non sull’esperienza personale. Il professore, vedendo la mia espressione perplessa e immaginando che il mio cervello stesse cercando velocemente di trovare un aggancio mnemonico per risolvere il busillibus, estrasse dalla tasca alcune foto in bianco e nero. Puntò l’indice su di una figura e ….pensate un po’? Disse che quel giovane era lui, in uniforme da ufficiale del Sol Levante , assieme ad altri compagni d’arme e ufficiali italiani all’interno del giardino Pfanner mentre tutti sorseggiavano allegramente un boccale di birra. L’altra foto, invece, inquadrava la villa Bottini e mi disse che quello era il circolo Ufficiali. Mi si spalancò la bocca per la sorpresa. Palazzo Pfanner oggi è un bel giardino privato, di stile barocco, visitabile più o meno come se fosse un museo e Villa Bottini, dopo essere stata abbandonata per anni e averne viste di tutti i colori, dalle occupazioni giovanili del ‘68 al completo abbandono, oggi ospita gli uffici cultura del Comune di Lucca.
Quindi, dopo un attimo di vera sorpresa, mi rivolsi a lui con un sorriso e dissi: “Let’s go! Andiamo! “.
In quegli anni, incontrandolo a volte per strada, mi capitava di fare quattro chiacchiere col compianto Signor Paolo Pfanner, persona affabile, sempre garbata e gentile. Suonai al campanello del palazzo e mi rispose proprio il Signor Paolo. Quando seppe delle ragioni della visita e delle foto del professore giapponese apri subito il portone, contentissimo di quella inaspettata opportunità di vedere foto del palazzo di altri tempi. Foto che lui, mi disse, non aveva e che testimoniavano visivamente ciò che anche lui aveva potuto solo sentirsi raccontare dai genitori.
Fu così che venni per la prima volta a conoscenza dell’originale attività della famiglia. Confesso che a quel tempo ne ero del tutto all’oscuro. Non esistevano ancora le mode attuali delle micro brewery.
Tutto andò nel migliore dei modi anche se, sia gli studenti che il professore rimasero, è proprio il caso di dirlo, a bocca asciutta. Niente più birra!
Da quel momento rimasi con la curiosità di conoscere i molti aspetti che aveva vissuto questo straordinario giardino barocco, ideato in origine intorno al 1680 per riprodurre in forma tridimensionale una scenografia teatrale all’aperto e trasformatosi poi dalla prima metà del ‘800 (1837 la licenza concessa dal granduca di Lucca Carlo Ludovico di Borbone) e per circa un secolo in una birreria.
Un giorno, curiosando fra le bancarelle del locale mercato antiquario, mi cadde l’occhio su alcune fotografie antiche. Fra queste ve ne era una che mostrava le belle scalinate del palazzo Pfanner. Fra gli archi si intravedeva il giardino e, nel giardino, un tavolino in ghisa e marmo. Poco oltre, la testa di un cuoco con il suo bel cappello bianco. Più avanti, su di un mezzanino delle scale, si notava un bel cane da caccia spensieratamente sdraiato, si direbbe “stravaccato”, non si sa bene se a causa del caldo, della stanchezza del dopo caccia o dei fumi dell’alcol che provenivano dal basso.
La comprai subito ed essendo inedita la pubblico ora in questo post per la prima volta, a corredo di quanto ho scritto.
Tuttavia, la descrizione di quei tempi d’oro è stata immortalata grazie a poche splendide pagine scritte con accenti di poetica nostalgia da Guglielmo Petroni in un libretto edito da Maria Pacini Fazzi: “I bambini bevevano la gazzosa con la pallina nella bottiglia, i grandi la birra e i pavoni al di là di una cancellata, sotto una pergola facevano la ruota nel mezzo del giardino. Un tempo che fu e che svanisce con i suoi colori e i suoi profumi nei ricordi di un vecchio che era bambino. Bambino che mai avrebbe pensato che tutto quell’Eden piccolo borghese sarebbe stato inghiottito da lì a poco nel doloroso e oscuro vortice della barbarie prodotto dalla guerra”.
Anche il mio vecchio professore giapponese forse ricordava con nostalgia, come un sogno, quell’Eden. Ecco perché era tornato. Sono certo che il ricordo della bellezza e della pacata armonia che ancora oggi il giardino Pfanner riesce a donarci abbia fatto dimenticare, almeno per un po’, ciò che di terribile visse e vide dopo quei giorni di vacanza italiana. Non ho più saputo nulla del professore né degli studenti, ma una cosa è certa: un buon professore è un buon professore ovunque e anche a me, come avete capito, ha lasciato il ricordo indelebile di una lezione magistrale.
Gabriele
Caro Gabriele, invidio i turisti che godono della tua guida.
Finisce che hanno loro più conoscenze di noi (io) lucchesi.
Ottimo Gabriele! Grazie per aver ricordato in modo così verosimile la figura di mio padre ed aver mostrato a me una foto sconosciuta di casa. Che grande figura deve essere stata questo professore giapponese! Mi spiace solo di non averlo conosciuto….
Grazie del tuo ricordo.
Alessandro Pfanner