Vi è mai capitato al ritorno da un viaggio di chiudere gli occhi e ricordare i luoghi visitati con uno o più colori ? A me succede sempre. Il colore come elemento sensoriale della memoria da porre in relazione ad una città . I sensi e la memoria certo sono condizionabili da molti fattori: il clima (pioggia o sole, caldo o freddo) , l’umore (vedo tutto rosa, vedo tutto nero), la compagnia (se viaggiavo da solo era meglio, che fantastici amici di viaggio !), la salute ( ho mangiato pesante, sono in piena forma stamani). Ora, non so perchè, a me piacerebbe chiedere ai turisti che hanno visitato Lucca, a distanza di qualche mese dalla loro esperienza di viaggio, quale memoria cromatica hanno conservato della città dove vivo e perchè. Lo so, forse è una domanda oziosa ed inutile. Certo il business nel turismo non si fa ponendosi queste domande, ma la vita non è fatta di solo buisness e comunque la cosa mi incuriosice.
Io, ad esempio, penso a Lucca in sei colori: beige degli intonaci, rosso dei mattoni , bianco dei marmi, verde delle mura e grigio dei lastricati delle strade. E’ chiaro che alcuni penseranno ad altri colori in minore o maggiore quantità o con altre sfumature.
Credo possa comunque risultare interessante fare un brevissimo cenno, senza tante pretese scientifiche, sul come e perchè Lucca, nel corso dei secoli, abbia comunque cambiato i propri colori, un pò come una bella donna sofisticata cambia il proprio “maquillage” man mano che si fa più matura. Anni fa questo tema fu anche oggetto di una mostra voluta dallo storico dell’arte lucchese Piercarlo Santini per la fondazione Ragghianti. Ragionarci un pò sopra ancora oggi, credo che non faccia male; anzi la consapevolezza di ciò che ci circonda, spesso in modo quasi subliminale, influenza il nostro fare e pensare quotidiano: anche il colore di una città.
Un insediamento urbano, sia esso villaggio, paese o città, ha sempre fatto uso, nell’edilizia che lo ha caratterizzato nel tempo, di materiali disponibili in loco, pur seguendo in alcuni casi, tecniche, mode e stili, comuni ad altre aree affini culturalmente, anche se a volte notevolmente distanti. Per quanto riguarda Lucca, nella nostra indagine, dobbiamo comunque escludere la storia più arcaica quale il periodo preistorico e quello etrusco. Ciò perchè, anche se archeologicamente sono state riscontrate tracce oggettive sia dei manufatti che dei colori degli edifici esistenti in quei tempi, oggi questi non sono più visibili ad occhio nudo se non negli studi specifici dei ricercatori o nei nei pochi reperti archeologici conservati nei musei. Per quanto riguarda le epoche successive la cosa poi si complica. Ciò che i nostri occhi vedono oggigiorno, è infatti il risultato di una millenaria stratificazione che, in alcuni casi, ha anche rimescolato i materiali più antichi sovrapponendoli o inserendoli in quelli più moderni. A Lucca il caso forse più eclatante di questo rimescolamento secolare è il così detto anfiteatro; l’edificio che fu di gran lunga il più grande nella Lucca romana di epoca imperiale. Potrei paragonare questa architettura lucchese ad un vero e proprio Dottor Jekill e Mr. Hide. E si, perchè le facce, così come i colori che mostra ai passanti, sono varie, mutevoli e di diversa epoca e natura. Il turista distratto è poco pratico nell’orientarsi nel dedalo di viuzze che caratterizzano il centro storico, difficilmente è in grado di individuare a botta sicura quale strada prendere per accedervi. Il turista infatti, passeggiando per la via principale chiamata Fillungo, percepisce visivamente solo una linea ininterrotta di edifici che alternano intonaco a bifore in mattoni.
Se però entriamo nella viuzza detta dell’anfitetro e poi ci poniamo nella piazzetta che si trova sul lato nord dell’ellisse dell’edificio, facendo pochi passi lungo il muro di forma circolare verso via canuleia, notiamo che lo stesso muro presenta riempimenti composti da materiali di varie origini. Intonaco bianco e ocra, porzioni di muro riempito con ciottoli di fiume in arenaria grigia, blocchi rovinati ma ancora squadrati in calcare marmoreo bianco che emergono qua e là, antichi mattoni rossi di terracotta. E’ ciò che rimane del periodo di massima decadenza dell’impero romano. Quel periodo di profonda crisi individuabile fra il IV° ed l’ VIII° secolo d.c. vissuto dalla maggior parte delle città italiane, dove le tecniche costruttive andarono deteriorandosi al punto tale da non essere più in grado di saper o poter produrre mattoni o squadrare pietre. Ecco perchè si percepisce visivamente persino l’utilizzo massivo di ciottoli di fiume come riempimento delle parti mancanti o, in moltissimi casi come unico materiale costruttivo facile da reperire lungo gli argini dei fiumi. L’impiego del grigio ciottolo di fiume, alternato qua e là con i pochi mattoni estratti dalle macerie delle antiche domus romane, si sovrapponeva al colore del legname che veniva anch’esso utilizzato (30%, 40%, 50%) per tutte quelle strutture pensili, aggettanti o in alzato che completavano l’edificio.
L’anfiteatro, quindi, è un caso simbolo. Ma se pensiamo ai monumenti simbolo della città, appaiono alla mia mente le mure rosse per ” l’incamiciatura” dei milioni di mattoni che la ricoprono, le chiese abbaglianti del candore dei propri marmi come San Michele e le altre, le ghiere in laterizio decorato delle case Guinigi e di molti altri simili e gli intonaci dei bei palazzi rinascimentali che caratterizzano con austerà sobrietà le strade della città.
Il verde delle alberature delle imponenti mura seicentesche, unito agli ampi spalti erbosi, sopratutto in questi giorni di avanzata primavera, riempono di freschezza il cuore di tutti coloro che le vivono con spensieratezza o in intima solitudine. Bella mi Lucca e belli i suoi colori !
Gabriele