L’isola che c’è
La vita quotidiana, specialmente per coloro che vivono nei pressi dei centri cittadini, è caratterizzata da una serie di spostamenti che incanalano lungo le direttrici urbane ed extra urbane ogni giorno sempre più congestionate dal traffico veicolare. A Lucca lo stacco fra la città è la campagna, ai nostri giorni, si percepisce con sempre maggiore difficoltà. A testimoniare la “Lucca drento” e la “Lucca fora” rimangono solo le antiche mappe, i racconti dei più vecchi e le foto storiche degli archivi cittadini che ci mostrano una piana coltivata sin quasi ai margini della città murata. Con sempre più frequenza leggiamo inoltre sulle pagine di riviste e giornali e ascoltiamo alla televisione e alla radio, dell’esigenza dell’essere umano di trovare spazi incontaminati dove la presenza umana si riduce al minimo indispensabile e dove l’anima ed il corpo possano ritrovare una dimensione spirituale anche grazie ad un maggiore contatto con la natura. Molti di fatto intraprendono viaggi esotici verso le mete più lontane. Ciò ci induce a pensare che questa sia quindi un esigenza legata in particolare all’uomo del terzo millennio, sempre più compresso in un mondo sovraffollato.
Eppure non è così. L’essere umano ha sempre cercato sin dall’antichità il “deserto”. Quel deserto esteriore che porta l’uomo alla riflessione ed alla meditazione interiore per cercare e vedere meglio se stesso e gli altri. Gli eremiti o i contemplatori sono sempre esistiti. Sono molteplici le raffigurazioni pittoriche, come ad esempio negli affreschi del camposanto monumentale di Pisa, dove sono presenti gli anacoreti; eremiti pronti a dare, con il loro esempio di vita, consigli a coloro che erano desiderosi di ritrovare la spiritualità o la fede perduta.
Risulta stupefacente prendere consapevolezza che anche qui da noi in lucchesia, esiste un incredibile numero di eremi, quasi tutti abbandonati non distanti dalle nostre civili abitazioni.Facciamo pochi chilometri lungo la statale 12 bis nella direzione di Pisa. Raggiunto il paese di Santa Maria del Giudice, dove possiamo parcheggiare la nostra macchina, è possibile intraprendere una passeggiata sui colli circostanti. Alcuni minuti di piacevole ascesa verso il passo della croce a circa 215 metri sul livello del mare immersi dalla vegetazione mediterranea e seguendo la segnaletica del CAI, dopo un non molto, si incontra l’Eremo della Spelonca fondato nel XII° secolo.
Anche le cronache lucchesi, che il pittore tedesco Gheorg Cristoph Martini scrisse nei primi del settecento, ci narrano di una sua escursione in compagnia di nobili lucchesi alla volta dell’eremo di “Rupecava” posto sui monti rivolti verso Pisa nella zona circostante l’antico castello pisano di Ripafratta lungo il confine fra Lucca e Pisa. Si ritiene che questo eremo sia il più antico fra quelli esistenti in questa zona e risalga al IV secolo dopo Cristo. Il suo vero nome è Santa Maria ad martyres. Questa dedicazione risulta significativa se si pensa che è su questi monti che per la chiesa lucchese fu, assieme ad altri, martirizzato il primo vescovo di Lucca Paolino.
Luoghi quindi ricchi di significative presenze storiche e spirituali del passato. Molti di questi furono abbandonati già in antichità quando gli eremiti si imposero una regola e si inurbarono come monaci benedettini o in altre congregazioni.
L’elenco dei romitori lungo la valle del Serchio, come ad esempio l’affascinante eremo di Calomini posto in una zona impervia sotto un costone roccioso che si affaccia sulla vallata della turrite e gli aneddoti storici relativi, potrebbero continuare a lungo.
Ma la storia che li ha visti come luoghi vissuti, si ferma sino a qualche decennio fa.
Tuttavia esiste ancora un isola di profonda e genuina spiritualità eremitica vissuta in assoluta riservatezza e solitudine: la Certosa di Farneta.
E’ questo l’ultimo monastero italiano di frati certosini ancora attivo delle numerose certose un tempo esistenti, alcune delle quali celeberrime per le bellezze artistiche in esse contenute. Oggi tutti questi luoghi si sono trasformati in musei statali, regionali o riattati ad altro scopo.
Percorrendo da Lucca la via sarzanese, passato il ponte San Pietro ed oltrepassato il bivio per San Macario, si incontra quello che indica la certosa di Farneta. Non si illuda chi legge di aver trovato l’ennesima meta turistica da visitare in allegra e spensierata compagnia. Non è ne il luogo ne il caso per programmare una scampagnata di questo genere. Chi imbocca questa strada dovrebbe mentalmente cercare di entrare in una differente dimensione spirituale che contempli almeno la parola rispetto. In fondo ad una strada fiancheggiata da cipressi si trova l’ingresso della certosa. Non è consentito l’ingresso agli estranei e men che meno alle donne di qualsiasi condizione o ceto, anche se religiose. Il silenzio regna sovrano all’esterno e all’interno del monastero. Il silenzio è la regola dei certosini. Un silenzio imposto durante tutto l’arco dell’anno ad ogni membro della comunità monastica per sei giorni settimanali. Il settimo giorno i monaci si riuniscono in un luogo apposito e possono scambiarsi pareri e informazioni. Un solitudine che si celebra anche all’interno delle cappelle entro le quali ogni giorno i padri certosini officiano la propria personale messa e la propria intima comunione. Ogni padre certosino vive la sua quotidiana esperienza claustrale all’interno della propria cella dove medita, lavora, studia, prega per il mondo esterno vissuto dall’umanità.
Eppure le esperienze con la vita quotidiana del mondo esterno degli uomini è stata vissuta da questa comunità anche con intense gioie ed anche con tragiche esperienze. Fra tutte non possono essere dimenticate la strage e le violenze perpetrate dai nazisti nel 1944 nei confronti dei monaci della certosa che avevano rifugiato all’interno uomini che sfuggivano alle deportazioni di massa nei lagher tedeschi. Molti vennero fucilati, altri deportati e poi fatti sparire. Furono martiri nel silenzio. Ogni padre certosino non vuole essere ricordato dopo la propria morte. Non esistono infatti lapidi commemorative sopra le loro sepolture, ma solo nuda terra ed una croce. Eppure le attività fervono all’intero e spesso all’esterno della certosa. Soprattutto attività agrarie. Vino, animali da allevamento, coltivazioni specifiche e quant’altro è legato ai vari elementi agrari dei frutti della natura, hanno sempre caratterizzato l’aspetto terreno ed economico di questa comunità. Ciò ha prodotto in alcuni casi, indirettamente ed inconsapevolmente, anche la fortuna di alcuni lucchesi emigrati all’estero. In proposito vale la pena raccontare un aneddoto.
Non molti anni fa un gruppo di una trentina di turisti americani provenienti dalla California chiesero di visitare la certosa. Con enorme stupore della guida locale che li avrebbe seguiti (il sottoscritto ) nel loro percorso turistico come interprete, fu loro concesso dai monaci l’accesso alla certosa. Una volta giunti all’ingresso un padre, incaricato dalla comunità di accoglierli, fece entrare i soli uomini all’interno dell’edificio. Le donne invece, accolte dal parroco della vicina chiesa di Farneta, proseguirono per un differente itinerario esterno. Una volta all’interno della certosa il gruppo di californiani, abbigliati con le loro variopinte camice sgargianti e colorate e dotati di iper tecnologiche macchine fotografiche, erano pronti per il tour.
Man mano che il pacato e sorridente padre spiegava al gruppo i luoghi visitati, i loro significati e come questi venivano vissuti dalla comunità (refettorio, la biblioteca, una cella, le cappelle, le cantine e quant’altro fosse possibile vedere) la mimica facciale degli americani mutò gradualmente dallo scanzonato all’incredulo rispetto. Al termine il responsabile del gruppo porse i saluti ed i ringraziamenti da parte di tutti, ma in particolare da parte di colui che non era presente e che aveva intercesso affinchè il gruppo potesse visitare la certosa: Mr. Sam Sebastiani, proprietario della società Sebastiani Wine nella Sonoma Valley .
Alla fine dell’800 fra i molti lucchesi coraggiosi ma per lo più poveri e disperati che emigrarono nelle americhe, vi era anche un certo Sebastiani di Farneta. Costui da buon contadino aveva lavorato molto per i frati della certosa e da loro aveva imparato le tecniche migliori per la coltivazione della vite e la vinificazione. Quando Sebastiani decise di emigrare, il priore della comunità gli regalò delle barbatelle di vite augurandogli, oltre una buona fortuna, anche di farne buon uso. Una volta raggiunto il selvaggio west negli stati uniti lavorò duramente alla costruzione della prima ferrovia occidentale. Questi, invece di sperperare il proprio guadagno come molti suoi compagni in wiskey e malaffare, con i soldi risparmiati si comprò un campo e vi impiantò la sua prima vigna. Il passo successivo fu quello di percorrere la ferrovia da lui costruita fermandosi in ogni stazione per vendere nei saloon del west il vino da lui prodotto e …la fortuna auspicata dal buon padre certosino gli arrise. Oggi la ditta di produzione di vini Sebastiani è una delle più importanti degli stati uniti. Gloria quindi alla certosa e a tutti i certosini !
La gita nei dintorni della certosa è comunque da consigliare anche se non si può entrare. Vi è pur sempre l’opzione che fu scelta dal gruppo delle turiste americane. Anche la certosa di Lucca, come le altre sparse per l’Italia presenta la caratteristica tipica di essere circondata da estesi appezzamenti di terra ad uso di pascolo. Si presenta quindi proprio come un isola circondata dal verde dei campi. E’ il deserto che circonda il “deserto” della cinta muraria certosina. Seguendo la strada che costeggia il muro della certosa, si trova un bivio che porta da una parte verso Farneta e l’altro verso la sarzanese. Poco distante dal bivio nella direzione di Farneta, incontriamo una strada che porta sopra un colletto dove domina la chiesa parrocchiale. Una volta sull’ampio piazzale coperto da tigli, basta dare uno sguardo nella direzione di Lucca per essere rapiti in un attimo dall’incanto di questo luogo. La vista impareggiabile abbraccia in un sol colpo l’intero complesso della certosa, caratterizzato dalle celle disposte lungo il muro più interno e le guglie di gusto francese degli edifici ecclesiastici. Poco più in là, guardando verso l’orizzonte, oltre le chiome dei lontani alberi che delineano il corso del fiume Serchio, le torri di Lucca. Gli ampi spazi erbosi dei campi che l’uomo ha modellato durante secoli e secoli, la pace, la bellezza architettonica della certosa, il …silenzio, tutto ciò invita alla riflessione e alla contemplazione. L’isola c’è.
Che Dio e grazie a Lui gli uomini di buona volontà la conservino ancora a lungo per le generazioni a venire come testimonianza di bellezza e di contemplazione.
Gabriele Calabrese
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Codesto articolo è assolutamente scritto bene, come tutto il il sito in generale.
Son un vostro affezionato, continuate così.
un articolo da spulciare è disponibile a questo link