Vi ricordate delle storie fantastiche del Barone di Munchausen? Un avventuroso quanto bizzarro eroe del XVIII secolo che, con mezzi e in situazioni surreali, combatte la sua guerra contro i turchi facendosi lanciare su di una palla di cannone al centro della battaglia.
Bene: io, forse, ho trovato il cannone che ha sparato quello straordinario colpo.
Buuuum! Direte voi. Questa volta l’ha sparata veramente grossa.
Certo comprendo il vostro dubbio, la vostra perplessità.
Com’è possibile che affermi una tale assurdità proprio colui che dichiara e scrive che le fonti per narrare la storia sono la cosa più importante?
Ebbene, qui di seguito ve ne fornirò gli indizi.
Sappiate dunque che l’Archivio di Stato di Lucca, sin dalle mie prime ricerche di studente universitario, è sempre stato uno dei luoghi più affascinanti, direi intriganti che abbia mai frequentato. Seguendo il filo sottile ma continuo dei documenti lì conservati, mi è stato possibile riallacciare storie apparentemente scollegate fra di loro. Una volta ricomposte, come in un grande puzzle, mettevano in luce gli usi, i costumi, i colori, gli odori, i dolori, le gioie, gli amori, gli odi, gli intrighi, le fantasie, le frustrazioni, le speranze, le delusioni – e chi più ne ha più ne metta – di una Lucca del XVIII secolo.
Fu proprio durante una di queste ricerche che, immerso fra i faldoni di carte polverose, rinvenni una filza non catalogata. Quando la aprii, lo stupore fu grande. Uno dietro l’altro si trovavano una serie di disegni tecnici e architettonici di ingegneria militare e civile che partivano dalla fine del XVII secolo per arrivare alla seconda metà del secolo successivo.
Fra questi ve ne erano alcuni che descrivevano con dovizie di particolari alcuni cannoni mai visti prima per inventiva e bizzarria.
Come non pensare quindi al Barone di Munchausen? Del resto, la prospera Repubblica di Lucca nei suoi quattrocento anni di indipendenza ne aveva ospitati molti di principi e baroni dai titoli altisonanti.
Questo piccolo Stato toscano, viste le continue e spesso bellicose invasioni degli stati europei a discapito degli stati preunitari italiani, sin dai primi del Cinquecento aveva provveduto a costruire la più grande e dispendiosa opera architettonica che avesse mai concepito nei secoli: le nuove Mura cittadine. La protezione, cioè, della città grazie ad imponenti Mura ricoperte da milioni di mattoni e baluardi per cannoni che la cingevano e proteggevano completamente.
Si direbbe, a primo acchito, una soluzione non nelle corde dei lucchesi ed in particolare non in linea con il loro proverbiale spirito parsimonioso.
Invece, al contrario di quanto oggi si possa pensare, gli studiosi di strategie militari reputarono questa scelta come la meno onerosa possibile. Va infatti considerato il fatto che l’evoluzione delle tecniche e delle tattiche militari di quel tempo, gradualmente e con l’esperienza sul campo, cominciarono a impiegare un notevole dispendio di energie e risorse per la costruzione di molteplici piazzeforti da dislocare nei luoghi strategici dello Stato. Ma la Repubblica lucchese era assai piccola e optò quindi per una difesa centralizzata, assai meno dispendiosa in termini di manutenzione e costruzione, volta a proteggere invece il cuore dello stato con un’unica possente difesa murata difesa da canoni. Questa era inoltre in grado di contenere anche le popolazioni del contado delle sei miglia, quelle più vicine alla città.
Questa politica militare che mirava tutto sommato al risparmio, riguardò un po’ tutti i comparti, da quelli ingegneristici a quelli architettonici. Insomma, quando si poteva si ricorreva all’autarchia e al “self made”.
Compresi, da alcuni documenti firmati, che la maggior parte dei progetti che avevo di fronte erano stati eseguiti da un noto “designer” lucchese del tempo: Raffaello Mazzanti.
In particolare, trovai uno schizzo acquarellato autografo della Orangerie (il giardino degli agrumi) disegnata per la villa Mansi a Segromigno. Sappiamo che il Mazzanti fu l’artefice e l’ideatore delle decorazioni e della fastosa camera nuziale della casa Mansi a San Pellegrino in città, oggi Museo Nazionale di Palazzo Mansi, oltre che disegnatore di mobili e arredi. Secondo la Storica dell’arte Patrizia Giusti Maccari, questo giovane talento entrò nelle grazie dei Mansi, oltre che per sue indubbie capacità anche grazie ai prezzi “modici “ e al saper aspettare con pazienza il saldo di quanto a lui dovuto. Ma forse sono solo malevole dicerie…. chissà?!
Ma tornando a noi, per quanto riguarda il corpus di disegni di architettura militare, risultano particolarmente interessanti quelli a sanguigna che tratteggiano i sistemi difensivi che, secondo i progetti, avrebbero dovuto proteggere ulteriormente con soprelevazioni e feritoie le spallette delle Mura. Altri disegni riguardano gli spalti esterni che avrebbero dovuto essere dotati di parapetti per l’appostamento e la difesa e tunnel sottostanti di ricovero e spostamento della fanteria.
Veniamo ora ai cannoni, vero nocciolo del nostro racconto.
I disegni che riguardano questo tema, vi assicuro, sono un vero tripudio di bizzarra fantasia artistica. Mazzanti era senza alcun dubbio più un artista che un ingegnere. Con gli occhi dei posteri alcune “invenzioni” potrebbero apparire geniali, direi leonardesche, come ad esempio un cannone a tre bocche per un tiro multiplo. Tuttavia, a detta degli esperti, ed in particolare di un amico della compagnia dei bombardieri di Lucca che ho invitato per dare un parere, questi cannoni non avrebbero mai potuto sparare se non con grave danno di chi avesse acceso la miccia per far fuoco.
Al che ho avuto come una dissociazione fra il corpo e la mente, fra la realtà e l’immaginazione. Una vera e propria catarsi.
In una visione come in un sogno, ho visto il Barone a cavalcioni della palla di cannone proiettato verso il nemico.
Al pezzo di artiglieria, sempre più in lontananza, appariva il Mazzanti che, stranamente, aveva il ben noto aspetto di Leonardo Da Vinci tratto dal disegno custodito presso la Biblioteca Reale di Torino.
E allora sì, perché no. Anzi, ne ero certo, quello era il potente cannone che forse non aveva mai sparato nella nostra storia mortale, ma certamente lo aveva fatto nell’altra dimensione. Quella della proiezione fantastica del sogno e della favola. Una favola non sempre sdolcinata, ma invece spesso pungente e grottesca. Una favola attaccata saldamente, sempre e comunque, agli usi, i costumi, i colori, gli odori, i dolori, le gioie, gli amori, gli odi, le fantasie, le speranze, le delusioni e chi più ne ha più ne metta ….. del XVIII secolo.
La storia, quando la si ricerca e la si scopre a volte insegna, ma il più delle volte fa sognare meglio e più di un film di successo. Più di Harry Potter o di Johnny Depp nei “Pirati dei Caraibi”.
Ma ora scusatemi ha bussato alla porta l’amico Vincenzo Lunardi (primo lucchese italiano che nel Settecento fece una ascensione con questo mezzo).
Mi vuole portare in piazzale Verdi per fare un’ascensione col suo pallone aerostatico per vedere le Mura dall’alto perché, ora come ora, non si possono percorrere a piedi a causa del virus. Speriamo che un maledetto drone non si impigli fra le corde dell’aerostato. Vi saluto. Incrociando le dita … andrà tutto bene!
Gabriele