Un altro aspetto interessante dal punto di vista storico da comparare con la città di oggi, è individuare e collocare i luoghi dove si svolgevano, nel medioevo e nell’età moderna sino al XIX secolo, le attività commerciali relative alla vendita di cibo e derrate alimentari.
Partendo proprio dalla Cattedrale di San Martino possiamo iniziare una passeggiata infilandoci nel reticolo di viuzze che, sin dall’epoca romana, facevano da collegamento con i principali assi viari cittadini del Cardo e del decumano. Fra queste, oltrepassando Piazza Antelminelli, si può imboccare via San Donnino e svoltare subito a destra in via del Battistero.
Via del Battistero è oggi caratterizzata da un susseguirsi di botteghe antiquarie dove il fine amatore può trovare pezzi di indiscussa qualità sia nel mobilio che nell’arte figurativa di ogni epoca, ma sempre legata storicamente al gusto europeo, italiano e, ovviamente, toscano.
Troviamo quindi anche opere di valore relative al cibo come le nature morte o al paesaggio agrario che vengono qui esposte per poi essere vendute agli estimatori internazionali del genere.
Come esempio, mostro qui un opera di vera qualità. Un dipinto fiammingo della seconda metà del XVII secolo proveniente da una di quelle famiglie lucchesi che già dal ‘500 avevano stretti rapporti commerciali con le fiandre. Rappresenta una servetta, finemente vestita, che porta un cesto di verdure e pollame.
Al primo impatto, il viso della servetta può risultare anomalo; quasi deformato. Al contrario osservando meglio proprio il viso, si comprende la grande capacità introspettiva e nel contempo descrittiva dell’artista. E’ il realistico viso pallido con li occhi grandi di una ragazza, forse non particolarmente bella, del nord. Notiamo una perizia tecnica, tutta fiamminga, che il pittore mostra negli sfondi dipinti con pennellate rapide; tanto da creare sfondi e bordi di contrasto evanescenti ma abilissimo ad indugiare con perizia quasi lenticolare, su dettagli quali gli abiti ed in particolare il pizzo del colletto che la giovane indossa e dell’animale nel piatto: una faraona. Appare evidente quindi, anche al neofita d’arte, l’indubbia qualità di questo dipinto di una … “ragazza senza orecchino di perle”.
Poco più in là sbuchiamo in piazza san Giusto con l’omonima chiesa romanica della seconda metà del XII secolo e decorata dalla scuola di Guidetto nel portale e sui rilievi degli archi soprastanti con marmo bianco. E’ rivolta, stranamente, verso levante e quindi non orientata. L’importanza dell’antistante cardo maximum ne ha stabilito la posizione. La chiesa fu sino al XIII secolo sede dell’università dei mercanti. Questa era una piazza dove senza dubbio si svolgevano commerci. Lo attestano i tagli longitudinali sugli stipiti marmorei delle porte di accesso; chiari segni lasciati da lame di coltello che dovevano essere affilate per tagliare stoffe, pellami,ortaggi o carni.
Proseguendo oltre si giunge in piazza Napoleone.
Prima della distruzione ottocentesca degli edifici che coprivano l’intera superficie della piazza per volontà della sovrana Elisa Baciocchi Bonaparte, vicino all’arco che conduce nella corte cosidetta del pesce, si trovava effettivamente il mercato ittico urbano. Probabilmente tale mercato fu collocato con certezza in questa zona dal XVI secolo. Da li ha preso il nome la pittoresca e vicina corte che era di proprietà privata come attestano sia i documenti che lo stemma all’interno nel soprarco.
Da piazza Napoleone ci si connette alla Piazza San Michele grazie a via Beccheria. Il toponimo di questa via indica l’attività di beccai ossia di macellai, che qui svolgevano la propria attività.
Poco più in la si sbuca in piazza San Michele in Foro. Vero centro commerciale e fulcro della città sin dalle origini. Qui si sono avvicendati nei secoli vari mercati in grado di vedere dal cibo, alle granaglie, ai piatti e ai giocattoli per bambini e quant’altro la fantasia può inserire in un mercato all’aperto che ha tenuto banco per 2.200 anni.
Oggi, 2017, non è più così.
Le tracce di tali attività, protrattesi nei secoli ,sono ovunque se si sa dove guardare. La prova più evidente la si trova descritta con graffiti divenuti indelebili proprio sui muri dell’edificio monumentale più significativo della piazza: la basilica di San Michele.
Lungo il muro meridionale della chiesa si possono ancora notare dei graffiti a sanguigna che descrivono una città medioevale turrita e nel porto sottostante le navi e barche cariche di merci.
Nonostante qualcuno nei secoli abbia tentato di cancellare gran parte di questi graffiti in parte blasfemi, vista la sacralità dell’edificio che li conserva, molti sono rimasti visibili. In particolare alcune scritte in calligrafia cancelleresca del XIV secolo riescono a datarli.
E’ la prova visiva, documentaria dei fitti scambi commerciali intessuta dai mercanti italiani e lucchesi nel mediterraneo. E’ la prova della piazza San Michele come una delle mete finali di queste preziose merci che migravano per di via mare e per vie di terra per migliaia di chilometri da oriente a occidente e viceversa. L’oriente e il nord Africa è presente anche nei rilievi marmorei delle fasce che marcano la divisione fra il paramento marmoreo del fianco sud della chiesa con le soprastanti arcatelle. Vicino alla parte tergale , più o meno sopra l’ingresso nei pressi del campanile, si nota fra i vari animali esotici, un dromedario aimè assai consunto ma ancora visibile. Anni fa un giovane anche lui come me interessato ai graffiti delle chiese lucchesi, mi mostro una foto che vava scattato alla chiesa di San Pietro somaldi (se non ricordo male) nella quale con la stesa sanguigna dei graffiti di san michele era stato disegnato un bel dromedario. Quei disegni sono stati cancellati in un successivo restauro e purtroppo non più visibili. Il nome e l’indirizzo di quel giovane perso nella memoria.
Nelle viuzze circostanti alla piazza troviamo ancora “reliquie” di quelle botteghe di spezie e cereali che dovevano impregnare di profumi e odori l’aria della città antica. Fra queste la bottega di Prospero in via Santa Lucia. Rimangono ancora le imposte in legno, le fasce paracarro sul muro esterno e, cosa ancor più importante, l’attività di un tempo, fatta di sacchi di granaglie e prodotti di qualità del territorio, amorevolmente gestita, generazione dopo generazione, dagli eredi dei vecchi proprietari.
Questo post appartiene ad una serie di post dedicati all’arte ed al cibo
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