Entrando all’interno della cattedrale voltiamo pagina un altra volta. La chiesa, così come i suoi arredi, sono il risultato di quasi cinquecento anni di ampliamenti, modifiche, restauri.
Altari, sculture, dipinti, tarsie, affreschi,suppellettili, organi, sono stati aggiunti e tolti, modificati o si sono stratificati nel corso di tutti quei secoli che segnarono la storia dell’edificio e le vicende lucchesi ad esso legate.
Tuttavia, fra tutte queste modifiche, appaiono sostanziali le emergenze artistiche di tipo figurativo che furono compiute per la chiesa fra il XV e il XVI secolo.
Nella testata del transetto destro della chiesa, si erge l’altare monumentale che contiene le reliquie di San Regolo e dedicato anche ai Santi Giovanni Battista e Sebastiano.
E’ opera dell’artista rinascimentale Matteo Civitali di Lucca, esecutore della maggior parte delle sculture e dei rilievi presenti all’interno dell’edificio che proprio nella seconda metà del ‘400 fu oggetto di un sostanziale e corposo “restailing”.
Nella predella dell’altare appaiono tre formelle con scene raffiguranti i martiri subiti dai tre santi.
Come noto San Giovanni fu decapitato per volontà di Erodiade grazie alla complicità della giovane e bella figlia Salomè.
Matteo Civitali, grande protagonista sempre aggiornato e a volte precursore dell’arte e della cultura dei suoi contemporanei toscani e lucchesi, descrive in un finissimo bassorilievo la danza di Salomè che offre al re Erode su un piatto la testa recisa di Giovanni Battista.
La scena raffigura una sala dove si svolge un banchetto. Chi osserva il bassorilievo viene in realtà catapultato all’interno di un ambiente rinascimentale dove appare un modernissimo e disinvolto menestrello che suona il suo liuto appoggiato alla gamba, tenendo nel contempo il piede sopra una sedia. Alle sue spalle un “dispensarium” di derivazione romana con tutti i piatti e le scodelle esposti così come si usava fare a quei tempi. Dalla parte opposta entrano in sala i camerieri con i piatti colmi di vivande. Al centro danza Salomè di fronte al tavolo con i cortigiani ed il re.
Una vera e propria “fotografia” che riproduce nei dettagli la tavola conviviale di un ricco mercante lucchese del ‘400.
La nascita del protestantesimo nel ‘500 e il conseguente concilio di Trento dove la Chiesa cattolica, in stretto accordo con l’Imperatore, provvedeva alle contromisure del caso imponendo nuovi costumi di vita e nuove e precise norme da seguire in materia di immagini sia sacre che profane, determinò anche per la cattedrale di Lucca, sotto la attenta supervisione del Vescovo Guidiccioni, un sostanziale cambiamento degli arredi interni, una diminuzione graduale degli altari ai lati delle navate e dei dipinti ad essi relativi.
Nella navata sinistra le storie di Maria, in quella destra le storie di Gesù. Questi i due chiari capisaldi della nuova riforma cattolica.
Ben visibile al centro dei cinque altari di destra l’Ultima cena “interpretata” dal “rivoluzionario” Jacopo Robusti detto il Tintoretto e dipinto nell’ultimo decennio del ‘500 (fra il 1593 e il 1595 ?).
Al di là delle vicende documentarie relative alla qualità del dipinto e alle critiche che il quadro ricevette al suo arrivo a Lucca, ciò che qui preme mettere in rilievo è la straordinaria capacità mediatica che le immagini qui rappresentate dovettero suscitare su gli osservatori lucchesi del tempo.
Al contrario dei cenacoli rinascimentali di scuola fiorentina, qui tutto è dramma.
Nei primi lo spazio geometrico inquadra sempre in una scatola prospettica il gruppo di Cristo e degli apostoli, tutti generalmente disposti in forma piramidale al centro di una stanza, con alle loro spalle uno cielo terso che mostra, quasi sempre, elementi tratti da una natura piacevole e gioconda; indifferente al momento drammatico che si sta celebrando.
Nel dipinto di Tintoretto, invece, la scena altamente drammatica si svolge all’interno di un ambiente indefinibile; fuori dal tempo e dallo spazio.
I protagonisti, seduti intorno ad una tavola posta in senso longitudinale tale da conformarsi al formato verticale del dipinto, sono circondati da cupi nembi affollati di evanescenti cherubini. La luce viene emanata dalle spalle di Cristo come uno “spot light” teatrale.
E di vero teatro e di elementi teatrali è il caso di parlare descrivendo gli artifici messi in atto dall’artista per coinvolgere, attrarre e stupire l’osservatore.
Il quadro si trova in posizione centrale rispetto agli altri quattro della stessa navata. Posizione perfetta per attirare l’attenzione del popolo lucchese verso l’immagine che voleva esaltare il pane del signore, non come semplice alimento e momento di riunione conviviale (così come intendevano i protestanti), ma come elemento divino capace, grazie alla transustansiazione, di trasformarsi nel vero corpo di Cristo. Spostandosi lungo la navata con gli occhi fissi sul tavolo, quest’ultimo, grazie ad una particolare tecnica prospettica molto usata nelle chiese sin dal prima rinascimento, cambia la sua posizione da verticale ad obliquo a seconda della posizione dell’osservatore.
In realtà nel quadro in questione esiste una protagonista che supera persino la centralità di Cristo sconvolgendo completamente la gerarchia religiosa e dei santi.
Una giovane donna che allatta al seno il suo bambino è sdraiata ai piedi di due scalini che la separano nettamente, come se fosse alla base di un palcoscenico, dalla mensa del Signore. E’ lei la vera protagonista che con il suo semplice gesto materno riesce a rendere a sua volta protagonista ogni donna, ogni madre, che in ogni tempo fosse in grado di osservarla. E’ lei che offrendo il primo pasto e guardando verso Cristo indica il percorso verso il vero cibo di redenzione per ogni umano vivente. Si compiè così l’artificio barocco in grado di proiettare, come in una macchina in grado di modificare tempo e materia, gli spettatori direttamente all’interno della scena descritta.
Questo post appartiene ad una serie di post dedicati all’arte ed al cibo
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