Sono tempi i nostri dove il male, il sopruso e la sofferenza che da essi ne deriva, sono tuttora presenti in ogni angolo della terra . Da noi, in Europa ed in Italia, le più abbiette pulsioni umane non sono differenti da quelle che si palesano in altri continenti e stati del terzo mondo dove troviamo spesso condizioni di vita disumane. Ciò che ci distingue da questi ultimi è il fatto che, da noi, molti delitti rimangono occultati nel finto perbenismo e nelle manifestazioni ludiche di una società spesso drogata dalla frenesia della tecnologia, dal benessere e del divertimento da ottenere a tutti i costi e con tutti i mezzi. Sarà forse per questa ragione che ultimamente, anche qui in Toscana e a Lucca, sono spuntati come funghi degli pseudo musei della tortura. Si tratta in realtà di un vero e proprio francising dell’orrore commerciale di basso livello e di dubbio gusto. Infatti in queste esposizioni degli stumenti per procurare dolore, si vuole trattare dell’argomento delle pene e della sofferenza inflitta ai condannati nel passato, con l’intento, dicono gli organizzatori, di educare le nuove generazioni a rifuggire da tali odiose pratiche. Intento lodevole, se non fosse per il fatto che si paga un biglietto e per il fatto che il materiale esposto all’interno dello spazio espositivo di Lucca è pressochè identico a quello di San Gimignano, Firenze, Siena . Un pesante manto di cinismo quindi sottindende l’intera operazione intrisa, a mio parere, di finto di buonismo. Nessuno vuole negare che tali orripilanti mezzi di coercizione fossero praticati in passato in molte città italiane e toscane. Tuttavia mi preme sottolineare che la pena di morte a Lucca, sia in epoca comunale, che sotto le varie signorie e ancor di più nel periodo repubblicano, fu praticata solo in casi estremi. Ancor di meno la tortura più bieca e orripilante. Da sempre veniva utilizzata come pena finale o come tortura il cosidetto tratto di corda e per la pena capitale il taglio della testa. Pratiche orribili, certo, ma sempre meno che altre pratiche di torura che venivano eseguite nel XV/XVI sec. ad esempio a Firenze o altre città del mediterraneo e che qui non descrivo per buon gusto e decenza.
Queste poche righe sui supplizi capitali a Lucca che sto scrivendo, hanno preso spunto da vecchie fotografie in bianco e nero scattate da mio padre e mio zio negli anni ’70 del novecento. Sono tratte dal codice Streghi, un codice miniato del quattrocento che si trova gelosamente conservato presso la biblioteca statale di Lucca. A differenza del codice Sercambi presso l’archivio di Stato di Lucca, assai conosciuto, il codice Streghi non ha mai fatto parlare molto di se negli ultimi anni. Anch’esso narra, in versi e rime, le vicende lucchesi fra tre e quattrocento. In particolare sono notevoli le raffigurazioni di battaglie fra schieramenti di cavalleria armata e le raffigurazioni di città, paesi e castelli della lucchesia nel medioevo. Per queste raffigurazioni, nell’originale tutte colorate e qui, aimè, solo in bianco e nero, mi ripropongo di scrivere alcune righe a parte per il notevole interesse iconografico dell’opera che mostra due mani distinte per qualità e tempi di realizzazione. E’ interessante sapere però che per il tema trattato da questo mio post, fra le varie raffigurazioni, si distinguono le esecuzioni capitali di due condannati che qui mostro appunto in foto in bianco e nero.
La prima è la decapitazione di ser Andrea Antelminelli (?). Il punto inerrogativo è d’obbligo perchè onestamente mi è difficile leggere il cognome posto a didascalia dell’immagine. Credo sia comunque interessante commentare l’impianto iconografico della rappresentazione. Come si nota, il condannato proviene dal lato sinistro (il lato dal quale nella tradizione antica, proviene sempre l’insidia ed il peccato!) sul luogo di esecuzione della pubblica piazza, che di norma era piazza San Michele. Questi ha i piedi legati con ceppi di ferro mediante una corda da un uomo che sembra trattenerlo a stento. Per questo motivo probabilmente viene redarguito con urli dal carnefice che conduce il condannato al patibolo bendato e legato. Da notare gli stumenti per l’esecuzione sovradimensionati rispetto agli astanti. Si tratta di un ceppo di legno fissato al suolo con due pioli, di una mannaia da appoggiare alla base del capo ed un grosso mazzuolo in legno per percuoterla con un colpo secco e preciso sulla base del collo del giustiziato. Tale mannaia è della stessa tipologia che troviamo come ex voto sul pilastro a destra del tempietto del Volto Santo nel duomo di S. Martino a Lucca. Celebre è infatti il miracolo del pellegrino che a San Sepolcro, ingiustamente condannato a morte, fu miracolato per opera del Volto Santo di Lucca, e qui volle poi lasciare come ex voto la mannaia che sfuggì ripetutamente di mano al suo carnefice. Di fronte lo schieramento di armati coperti da un ampio scudo e dietro, probabilmente, Castruccio Castracani (da notare il cane ai piedi del cavaliere come in didascalia al personaggio raffigurato) in armatura e con il bastone del comando nella tipica iconografia monumentale cara al quattrocento del comandante sul destriero bianco. Si ricordino rispettivamente il monumento a Niccolò Piccinino che era visibile in canto di Pozzotorelli e i coevi affreschi monumento di Giovanni Acuto e Tolentino di Paolo Uccello e Andrea del Castagno nel duomo di Firenze.
La seconda immagine invece mostra come per secoli a lucca la condanna maggiormente inflitta a uomini e donne fossero i cosidetti “tratti di corda”. Il condannato veniva legato con le braccia poste dietro la sciena e per queste appeso tramite una corda ad una puleggia. Ogni tratto di corda era uno strattone per tirarlo sù. Si può immaginare lo strazio delle articolazioni. Ma chiudiamola qui descrivendo solo la “sobrietà” dell’interno raffigurato dove i personaggi sono delineati con una notevole qualità descrittiva e con stile direi quasi “civitalesco”. L’osservatore non si faccia poi fuoriviare dalla linea che taglia in due l’immagine del suppliziato. Questa infatti altro non è che una sbavatura di inchiostro che l’autore ha lasciato maldestramente sul foglio di pergamena.
La prossima volta tratteremo di città e castelli turriti e di una Lucca iconograficamente insolita.
Gabriele Calabrese
Che dire, io ho sempre avuto una particolare “ammirazione” per il mio amico Gabriele, perchè rende piacevole cose che forse dette da altri sarebbero noiose; soprattutto quando parla e anche scrive, si sente o vede la passione che ci trasmette e che convogliamo nella nostra persona; questa trasmissione ci rinvia a quei tempi e ci li fa rivivere. Grazie è veramente un piacere leggere queste cose e aspetto la prossima.
Ho condiviso, e come non condividere quando da anni siamo quasi sempre sulla stessa lunghezza d’onda, la sua prefazione.
Di nuovo Grazie, Gabriele
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